Commento di Piero Feliciotti
Perchè si scrive e si racconta?
"Il Silenzio della neve è il romanzo di esordio
come scrittore di Giuseppe Filidoro. E’ un bel libro, semplice e ricco, che dall’inizio alla fine ci parla (fra tante cose) della funzione del racconto.
Perché si scrive e si racconta? Per mettere quel che resta di sé nella punta della penna (pag. 265). E Filidoro ci prova con una prosa ironica e pacata, che ha il passo malinconico e dolce delle Memorie dell’imperatore Adriano mentre riflette sulla sua vita: ho recitato bene la mia parte? Cosa resta, cosa resterà
di me? Perché quello che resta è anche quello che conta; e che, quasi sempre inconsciamente, si trasmette agli altri. Già, ma alla fine si può “avere consapevolezza di quel che si è stati”, si riesce
a trovare la verità di quel che resta? Di quel che lega nel nodo del nostro destino il passato (che a volte si può aggiustare, ma a volte no) e il futuro - che non esiste proprio, dice Filidoro. Qual
è il dettaglio importante? Quale aroma o sapore, quale frase, insulto o carezza ci ha segnato e ha deciso del modo in cui abbiamo vissuto - del coraggio o della paura, della ribellione oppure della
sottomissione a una vita che all’improvviso non ci sembra più nostra, ma di qualche fantasma che si presenta nel nostro tribunale interiore e chiede giustizia? Difficile giudicare. “ La vita a volte
è crudele, a volte tragica oppure comica…e le vicende umane si dipanano in maniera incomprensibile e imprevedibile” (pag. 240), secondo un disegno a noi ignoto.
Per raccontarci di questo groviglio di contraddizioni Giuseppe Filidoro prende spunto da un ipotetico e realissimo paese di quel sud da cui lui stesso proviene. Sbozza i personaggi scolpendoli
intorno allo stereotipo del loro soprannome (come succede nei paesi): ‘u Cafone, ‘u Student, il Megafono, ‘a Capatosta… E poi si lascia prendere dai suoi personaggi, si innamora di queste povere
controfigure che fa vivere sotto la sua penna misericordiosa; vi infonde a poco a poco un’anima, una storia e cioè vizi e passioni, generosità e viltà, e odi e amori ingenui e “cattiveria, avidità,
malanimo o rancore” (pag.182). Insomma tutto il bene e il male che nella vita si trovano mescolati e che dunque non ci permettono di giudicare nessuno, né la vittima né l’assassino, senza che prima
ci siamo guardati un po’ dentro. Ecco allora che la letteratura è proprio lo strumento di conoscenza che ci può far capire perché succedono le cose e perché la condizione umana è quello “gnommero” (o
garbuglio) che è. E questo anche se la scrittura, il racconto e le parole sono “cose d’aria” per dirla con Montalbano, oppure “arnesi da fumo” per dirla come Filidoro. E qui mi fermo: il meglio di
questo bel libro il lettore fortunato lo dovrà scoprire da sé.
Piero Feliciotti
Giuseppe Filidoro
Medico Psichiatra-Psicoterapeuta.
Psicoanalista della
Società Psicoanalitica Italiana e International Psychoanalitical Association
Padova/Selvazzano
Tel. 049 654400
Cittadella (Pd)
Tel. 049 5979904
info@giuseppefilidoro-psicoanalista.it
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